Un reporter che, per mestiere, ha sempre raccontato le guerre in paesi lontani, improvvisamente sente parlare di guerra, di prime linee, di trincee, di battaglie, di minacce e anche della presenza di un nemico invisibile nella sua terra, il Ticino. Come se non bastasse, questo reporter riceve messaggi allarmati (“Come stai?”) e di incoraggiamento (“Resta al sicuro, resta a casa!”) da amici che abitano a Gaza, a Kabul, a Bagdad, Beirut eccetera. Decide quindi di reagire come ha sempre fatto in questi casi: esce di casa con taccuino e macchina fotografica per documentare la realtà. Per la Svizzera e il Ticino in particolare, la situazione creatasi in seguito a Covid-19 è eccezionale e assume addirittura dimensioni storiche, ancora di più quando le Autorità dichiarano lo stato di necessità e decidono di chiedere alla popolazione di restare a casa, nonché di sospendere buona parte delle attività economiche. Il volume racconta la quarantena ticinese attraverso l’esplorazione degli spazi pubblici deserti (o quasi) investiti dall’emergenza Covid-19: è un libro di street photography applicata alla crisi. Obiettivo: documentare la vita quando a ciascuno di noi è stato chiesto di ridurla al minimo. Il racconto fotografico si intreccia con le parti di scrittura, suddivise in 30 capitoli: in essi prende forma la riflessione dell’autore sull’esperienza del lockdown. La metafora della guerra usata un po’ da tutti (politici, giornalisti, medici, esperti, gente comune) ha spinto l’autore a cercare ciò che c’è stato di uguale alla guerra nell’esperienza della popolazione ticinese confrontata con Covid-19. La guerra è una cosa, la pandemia e le misure adottate per contrastarla sono un’altra cosa.